Tre storie di donne simbolo dell'abisso della tortura, ma anche del coraggio e della determinazione che permettono di riscattarsi. Le racconta nel libro "Se questa è una donna" (Ibiskos Editrice Risolo) Luca Attanasio, che ha rielaborato in forma di romanzo i suoi colloqui con vittime di tortura presso il servizio per richiedenti asilo dell'ospedale San Gallicano di Roma, nel periodo tra il settembre 2009 e il giugno 2011.
Non si risparmia neanche i bambini. "Nell'ascoltare lo struggente racconto fatto da tre donne - un'etiope, un'iraniana e una ivoriana - mi sono ripetutamente trovato di fronte a narrazioni, nel senso più alto e artistico del termine, di vicende drammatiche dalla dignità letteraria, pronte per essere rappresentate su un palcoscenico, per venire raccontate come classici della letteratura mondiale. Da qui la scelta di dare una veste narrativa alle storie di Shirin, Aminata, Yergalum, tutte donne, alcune poco più che adolescenti, vittime di tortura. Da un lato, testimoniano la trasversalità delle crudeltà, che non risparmia neanche i bambini, dall'altra esaltano il coraggio, l'amore, la tenacia, l'incredibile forza di volontà che spinge ragazze fin lì costrette, umiliate, emarginate, segregate, mai libere, a spezzare il giogo e fuggire, per trovare pace".
Storie terribili e meravigliose. Il testo è anche un dibattito sul tema dell'immigrazione, da cui emerge come dietro a ogni volto
di uomo o donna che fugge dal proprio paese vi sia una storia spesso meravigliosa, oltre che drammatica; come scrive Erri De Luca, "le loro storie, gigantesche rispetto alle nostre, sono romanzi in corso, i loro viaggi sono quelli di Sinbad e di Ulisse, le loro avversità quelle di santi e cavalieri erranti, braccati dalle polizie senza aver trasgredito alcun articolo del codice penale. Siamo di fronte a loro e li guardiamo in faccia. Ogni volta è la prima, perché loro sono primizia del mondo a venire, seme di miriadi che si spostano a piedi sulla superficie del mondo e con il loro peso spostano il mondo".
Decine di interviste. Luca Attanasio ha intervistato decine di persone presso il centro "Passaggio nei Territori di Giano", il servizio per vittime di tortura e richiedenti asilo dell'INMP (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto della povertà) del San Gallicano. Se si eccettuano i nomi e alcune marginali aggiunte, le tre storie "esemplari" sono tutte vere: hanno carne, ripetutamente ferita, hanno anima violata, hanno corpi e menti che non saranno mai più come prima. Ma soprattutto hanno occhi. "Stanno lì a guardarti fissi, miti, pozzi di profondità, hanno già osservato tutto e attendono dignitosi che gli venga riconosciuta la regalità della sofferenza, lo status di uomo, di donna. È quando quegli occhi si incrociano ai tuoi che immagini i film dell'orrore che hanno più e più volte visto, i fotogrammi della paura che hanno fissato in scatti indelebili nel personale archivio del terrore e, quegli occhi, non ti lasceranno più".
Un viaggio per ricominciare da zero. E condotti per mano da Attanasio conosciamo Yergalum, la "Cenerentola etiope" di Addis Abeba, giunta a Lampedusa alcuni giorni dopo la terribile tragedia del 20 agosto 2009, quando di 73 profughi partiti dalla Libia ne sbarcarono solo cinque. È l'esperienza del viaggio e dei passaggi per il Sudan, il deserto del Sahara, la Libia e infine l'Italia su un barcone. Come nei gironi concentri dell'inferno, la donna arriva più volte vicina alla morte. La parte più spaventosa è quella che si svolge nelle carceri libiche, dove viene sottoposta ripetutamente a sevizie e tortura.
Il racconto di Shirin. Ha dell'incredibile, una storia di due viaggi: quello di una ragazzina di 14 anni costretta al matrimonio e rapita da un afghano, che la porta a forza nel suo paese, e quello della stessa ragazzina, più grande, che tornata in Iran, sua patria, scappa verso l'Italia con la bambina nata dal matrimonio forzato. È una drammatica odissea moderna, tragicamente vera. La storia di due donne, una vessata, torturata, annullata, l'altra appena affacciatasi alla vita: entrambe, con coraggio affrontano il viaggio verso la libertà.
La fuga per evitare l'escissione. La storia di Aminata è quella di una donna burkinabè la cui famiglia, colta e cattolica praticante, si sottrae alle leggi della tradizione ed emigra in Costa d'Avorio per evitare alla bambina l'escissione. Quando nel paese scoppia la guerra civile, la ragazzina torna in Burkina Faso convinta che data l'età (è già adolescente) non verrà infibulata: in realtà viene costretta dai parenti a sottoporsi all'"operazione" di mutilazione genitale. Scappa miracolosamente e comincia una fuga rocambolesca verso l'Italia, aiutata da suore che rischiano la vita per donne come lei. È sottoposta a violenze e tortura, ma sorretta da una incrollabile fiducia nell'umanità e dal suo desiderio di libertà, giunge in Italia per ricominciare da zero.
Fonte: www.repubblica.it